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AVE OMNIBUS VOBIS AMICIS DOMUM MEA, BONUM ITER IN HUNC CASUM.

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La compassione è il desiderio che gli altri siano liberi dalla sofferenza e dalle cause della sofferenza. Essa è basata sul comprendere i sentimenti delle altre persone, specialmente quando abbiamo patito gli stessi tormenti. Anche se non abbiamo mai sperimentato quello che hanno sofferto, possiamo metterci nei loro panni e provare quanto terribile dev’essere stato. Immaginando quanto vorremmo esserne privi, desideriamo fortemente che anche gli altri siano liberi da tale sofferenza. L’amore e la compassione sono necessità, non sono dei lussi. Senza di essi, l’umanità non può sopravvivere.

XIV Dalai Lama

"Le tue convinzioni diventano i tuoi pensieri.
I tuoi pensieri diventano le tue parole.
Le tue parole diventano le tue azioni.
Le tue azioni diventano le tue abitudini.
Le tue abitudini diventano i tuoi valori.
I tuoi valori diventano il tuo destino."

Mahatma Gandhi

“Non amare il florido ramo, non mettere nel tuo cuore la sua immagine sola, essa avvizzisce. Ama l’albero intero, così amerai il florido ramo, la foglia tenera e la foglia morta, il timido bocciolo ed il fiore aperto, il petalo caduto e la cima ondeggiante, lo splendido riflesso dell’Amore pieno. Ama la vita nella sua pienezza,
essa non conosce decadimento”.

Jiddu Krishnamurti

Non siate egoisti, alla fine si tratta solo di guadagno personale, reputazione e affari. Siate semplicemente persone di buon cuore. Questo vuol dire essere autentici praticanti di Dharma. Viviamo nell'illusione e nell'apparenza delle cose. Esiste una realtà. Noi siamo quella realtà. Quando lo capite, quando capite che non siete nulla, allora sarete tutto.

Kalu Rinpoche

Le sette regole di vita di Paracelso

1. Migliorare la propria salute.

Respirare profondamente e ritmicamente il più spesso possibile, riempiendo bene i polmoni, all’aperto o davanti a una finestra aperta. Bere circa due litri d’acqua al giorno, a piccoli sorsi, mangiare molta frutta, masticare i cibi lentamente, evitare alcool, tabacco e medicinali, a meno che non ci siano motivi gravi per cui siate sottoposti a trattamento medico. Fare il bagno quotidianamente, abitudine che fa bene alla propria dignità.

2. Bandire dalla mente tutti i pensieri negativi, di rabbia, rancore, odio, noia, tristezza, povertà e vendetta.

Evitate come la peste di avere a che fare con persone maledicenti, viziose, vili, pigre, pettegole, volgari o vanitose o persone che hanno come unica base dei loro discorsi od occupazione argomenti sensuali. Osservare questa regola è molto importante: si tratta di cambiare la trama spirituale della vostra anima. E’ l’unico modo per cambiare il vostro destino, perché il caso non esiste, esso dipende dalle nostre azioni e dai nostri pensieri.

3. Fare tutto il bene possibile.

Aiutate ogni infelice ogni volta che potete, ma non nutrite mai un debole per queste persone. Dovete tenere sotto controllo le vostre emozioni e fuggire da ogni forma di sentimentalismo.

4. Dimenticare ogni offesa.

Sforzatevi di pensare bene del vostro più grande nemico. La vostra anima è un tempio che non dovrebbe mai essere profanato dall’odio. Tutti i grandi uomini si sono lasciati guidare da quella Voce Interiore, ma questa non vi parlerà immediatamente, dovete prepararvi per un certo periodo di tempo, distruggendo le vecchie abitudini i pensieri e gli errori che pesano sul vostro spirito, che nella sua essenza è perfetto e divino, ma è impotente di fronte all’imperfezione del veicolo che gli si offre oggi per manifestarsi, la debole carne.

5. Raccogliersi ogni giorno in meditazione.

Recatevi ogni giorno in un luogo dove nessuno possa disturbarvi, anche solo per mezz’ora, seduti il più comodamente possibile, con gli occhi socchiusi e non pensare a niente. Questo rafforza il cervello e lo Spirito e vi metterà in contatto con influenze benefiche. E’ in questo stato di meditazione che spesso arrivano le idee più brillanti, che a volte possono cambiare un’intera esistenza. Con il tempo tutti i problemi saranno risolti da una Voce Interiore che vi guiderà in questi momenti di silenzio, mentre siete da soli con la vostra coscienza.

6. Mantenere un silenzio assoluto sulle vicende personali.

Non riferite agli altri, neanche alle persone più intime, tutto quello che pensate, ascoltate, imparate, conoscete, sospettate o scoprite; si dovrebbe essere come una casa murata o un giardino recintato. E’ una regola molto importante.

7. Non temete gli uomini e non abbiate paura del domani.

Se manterrete il vostro cuore forte e puro, ogni cosa andrà bene. Non pensate mai di essere soli o deboli, perché dietro di voi ci sono potenti eserciti che non potreste concepire nemmeno nei sogni. Se elevate lo spirito, nessun male potrà toccarvi. Il solo nemico che dovete temere siete voi stessi. La paura e la sfiducia nel futuro sono le madri di tutti i fallimenti e attraggono le cattive influenze e con esse il disastro.
Se studiate con attenzione le persone fortunate, vedrete che esse osservano gran parte delle regole sopra enunciate.
Le persone facoltose non sono propriamente del tutto delle brave persone, poiché non sono rette, ma possiedono molte delle virtù menzionate sopra. Del resto la ricchezza può essere uno dei fattori che conduce alla felicità, poiché ci dà il potere di compiere grandi e nobili opere, ma non è una vera e propria benedizione. Quest’ultima si raggiunge solo attraverso percorsi diversi, dove non domina l’Egoismo.
Conclusione.
Non lamentatevi, dominate i vostri sensi, ripudiate l’umiltà e la vanità. L’umiltà vi toglie le forze, la vanità è dannosa tanto quanto un “peccato mortale contro lo Spirito Santo.”
“Non essere schiavo di un altro se puoi essere tu il tuo padrone.”

Paracelso

La Livella del Principe Antonio de Curtis (Totò)

Ogni anno, il due novembre, c'è l'usanza per i defunti andare al Cimitero. Ognuno deve fare quest’atto di devozione; tutti devono avere questo pensiero. Ogni anno, puntualmente, in questo giorno, di questa triste e mesta ricorrenza, anche io vado, con dei fiori adorno il loculo marmoreo di zia Vincenza. Quest'anno mi è capitata un’avventura. Dopo aver compiuto il triste omaggio e ci penso, che paura! Ma poi mi decisi ad affrontare la cosa. Il fatto è questo, statemi a sentire: si avvicinava l’ora della chiusura: io, piano piano, stavo per uscire, gettando lo sguardo su qualche sepoltura. Qui dorme in pace il nobile marchese
signore di Rovigo e di Belluno, ardimentoso eroe di mille imprese,
morto l'11 maggio del 1931. Lo stemma con la corona sopra a tutto, sotto una croce fatta di lampadine; tre mazzi di rose con una lista e lutto, candele, candelotti e sei lumini. Proprio attaccata alla tomba di questo signore c’era un’altra tomba piccoletta, abbandonata, senza neanche un fiore; per segno, solamente una crocetta. E sulla croce a mala pena si leggeva: "Esposito Gennaro - netturbino": guardandola, che pena mi faceva questo morto senza neanche un lumino! Questa è la vita! Fra di me pensavo... chi ha avuto tanto e chi non ha niente!
Questo povero disgraziato s'aspettava che pure all'altro mondo era un pezzente ? Mentre fantasticavo su questo pensiero, s'era già fatta quasi mezzanotte, e io rimasi chiuso, prigioniero, morto di paura... avanti ai candelotti. Tutto a un tratto, che vedo da lontano? Due ombre avvicinarsi dalla parte mia... Pensai: questo fatto mi pare strano...
Sto sveglio... dormo, o è fantasia? Altro che fantasia; era il Marchese:
con la tuba, la caramella e con il pastrano;quell’altro dietro a lui un brutto arnese; tutto sporco e con una scopa in mano. E quello certamente è don Gennaro... Il morto poverello... lo spazzino.
In questo fatto io non ci vedo chiaro:sono morti e si ritirano a quest'ora?
Potevano starmi quasi a un palmo, quando il Marchese si fermò di botto,
si girò e serio serio... calmo calmo, disse a don Gennaro: "Giovanotto!
Da Voi vorrei saper, vile carogna, con quale ardire e come avete osato
di farvi seppellire, per mia vergogna, accanto a me che sono blasonato!
La casta è casta e va, sì, rispettata, ma Voi perdeste il senso e la misura; la Vostra salma andava, sì, inumata; ma seppellita nella spazzatura! Ancora oltre sopportare non posso la Vostra vicinanza puzzolente, quindi, è meglio che cerchiate un fosso tra i vostri pari, tra la vostra gente. "Signor Marchese, non è colpa mia, io non vi avrei fatto questo torto; è stata mia moglie a fare questa fesseria, io che potevo fare se ero morto? Se fossi vivo vi farei contento, prenderei la cassettina con le quattro ossa e proprio adesso, in questo momento, entrerei in un’altra fossa". "E cosa aspetti, o turpe malcreato, che l'ira mia raggiunga l'eccedenza? Se io non fossi stato un titolato
avrei già dato piglio alla violenza!"."Fammi vedere... pigliala questa violenza... In verità, Marchese, mi sono seccato di sentirti; e, se perdo la pazienza, mi dimentico che sono morto e volano le botte ! Ma chi ti credi d'essere... un dio? Vuoi capire che qua dentro siamo uguali?...
Morto sei tu e morto sono anch’io; ciascuno di noi è proprio tale e quale". "Lurido porco!... Come ti permetti paragonarti a me ch'ebbi natali illustri, nobilissimi e perfetti, da fare invidia a Principi Reali?".
"Ma quale Natale... Pasqua ed Epifania ! Ti vuoi mettere in testa... in quel cervello… che sei malato ancora di fantasia?... La morte sai cos’è?... è una livella. Un re, un magistrato, un grand’uomo,
varcando questo cancello, ha messo il punto, perché ha perso tutto, la vita e anche il nome: ti sei o non ti sei reso conto di questo? Perciò, stammi a sentire... non fare il riluttante, sopportami vicino che te ne importa? Queste pagliacciate le fanno solo i vivi:noi siamo seri... apparteniamo alla morte!”.

Video originale del grande Toto'

https://vimeo.com/758548372

Racconto ZEN sulla società di oggi

C’era una volta un complesso di sette strumenti musicali: erano un pianoforte, un violino, una chitarra classica, un flauto, un sassofono, una cornetta e una batteria. Vivevano nella medesima stanza, ma non andavano d’accordo. Erano così orgogliosi che ognuno pensava di essere il re degli strumenti e di non aver bisogno degli altri. Non solo, ma ciascuno voleva suonare le melodie che aveva nel cuore e non accettava di eseguire uno spartito. Tutti ritenevano ciò una imposizione intollerabile che violava la loro libertà di espressione. Quando al mattino si svegliavano ognuno cominciava a suonare liberamente le proprie melodie e per superare gli altri usava i toni più forti e violenti. Risultato: un inferno di caotici rumori. Una notte capitò che la batteria non riuscisse a chiudere occhio per il nervoso. Per passare il tempo cominciò a scatenarsi con le sue percussioni. Fu la goccia che fece traboccare il vaso. Per la prima volta tutti gli strumenti si trovarono d’accordo su una cosa: la decisione di andare ognuno per conto suo. Stavano per uscire quando alla porta bussò una bacchetta con uno spartito in cerca di strumenti da dirigere. Parlando con garbo e diplomazia chiese loro di fare una nuova esperienza, quella di suonare ognuno secondo la propria natura, ma con note, ritmi e tempi armonizzati. “Con un occhio guardate lo spartito, con l’altro i miei cenni, dopo che avrò dato il via, disse la bacchetta”. Un po’ perché erano molto stanchi del caos in cui vivevano, un po’ per la curiosità di fare una nuova esperienza, accettarono. Si misero a suonare con passione dando ognuno il meglio di se stesso e con una obbedienza totale alla bacchetta… magica. A mano a mano che andavano avanti si ascoltavano l’un l’altro con grande piacere. Quando la bacchetta fece il cenno della fine un’immensa felicità riempiva il loro cuore: avevano eseguito il famoso Inno alla gioia di Beethoven.